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"Santu Jorxu" e della "ragazza de sa Piscina Manna"    |   La leggenda di Cicitu e della pioggia di sassi    |    La reliquia di San Sisinnio, contesa tra Serramanna e Villacidro    |    Serramanna e le streghe    |    Una ragazza, un carciofo e un biglietto d’amore    |    «Sa justitia de Serramanna»

 

La Leggenda di "Santu Jorxu" e della "ragazza de sa Piscina Manna"
Le opere di bonifica degli anni ’80, nelle campagne circostanti l’attuale nucleo abitato di Serramanna, hanno portato alla luce i resti di un antico villaggio; la zona denominata Santu Jorxu (San Giorgio) che ora è un territorio abbastanza fertile, in tempi neanche tanto remoti, cioè fino a mezzo secolo fa, era una distesa di acquitrini e canneti che furono territorio ideale per le zanzare e focolaio di malaria.

Pare che ai tempi a cui risalgono le fondamenta questa distesa di terreno fosse ricca di orti e frutteti e che le genti che vi si erano stabilite fossero instancabili lavoratori; periodicamente subivano gli straripamenti del fiume Leni, che durante i periodi invernali scendendo impetuosamente dai monti di Villacidro straripava nella pianura circostante, mettevano a dura prova i contadini di allora che pazientemente in primavera dovevano ricostruire quello in inverno il fiume portava via.

Sa Piscina Manna

Un anno però la distruzione fu tale che i vecchi abitanti di Santu Jorxu non ne poterono più; tutto il loro territorio era sommerso dalle acque, mentre videro che all’orizzonte si profilava una serie di alture dalla forma dentellata (che ricorda una grande sega, in sardo «serra»), e fu proprio lì che decisero di rifugiarsi, dicendo «Andausu a cussa serra manna».

Il territorio di Santu Jorxu è oggi conosciuto con il nome di Sa Piscina Manna. Probabilmente questa è una leggenda, certo è che la realtà dei fatti non deve discostarsene di molto.

Quella serie di colline, non erano però del tutto disabitate, infatti vi erano delle borgate popolate, come Santa Barbara, Santa Marina, Santu Deu e soprattutto Hipis, paesino di origine punico-romana (che ha il vanto di avere dato i natali a Sant’Avendrace).

Nel territorio di Santu Jorxu (oggi Sa Piscina Manna) fiorì presto una leggenda:

Pare che ci fosse una ragazza bellissima in quel paesino, talmente bella che la fama della sua bellezza aveva raggiunto anche i vicini paesi e veniva sempre citata come termine di paragone. Ma tanto era bella, e altrettanto era povera; si guadagnava da vivere lavando i panni al fiume.

Tutti i giorni veniva battere i panni sulla pietra liscia, e cantava con voce melodiosa, tanto che il Maestrale, si fermava ad ascoltare.

Un giorno, un giovane cacciatore, la vide e se ne innamorò; le promise tesori, una vita da sogno e amore eterno, ma placato l'ardore del momento, dopo il primo appassionato incontro, svanì.

La povera ragazza rimase sola, col frutto di un attimo di sogno. Tutti i giorni andava al fiume a lavare i panni e batterli sulla pietra liscia, e cantava con voce triste; un giorno arrivò al fiume con due fagotti: uno con i panni da lavare e l'altro con il bimbo appena nato.

E la bellissima ragazza, batteva i panni e cantava la nènia al suo bambino.

Quel giorno udendo un fruscio tra le canne, si voltò e vide un giovanotto sbucare dal canneto; era il cacciatore che saputo di avere un figlio veniva per portarselo via.

Il Leni rumoreggiava lugubre, mentre onde schiumose si facevano sempre più minacciose, e la ragazza con gli occhi sbarrati per la paura che il cacciatore le portasse via il bambino, gli gridava in faccia «Non toccare il mio bambino!», ma fece due passi indietro, scivolò sull'erba bagnata e cadde nel Leni inferocito che inghiottì lei e il suo bambino; il cacciatore terrorizzato montò a cavallo e fuggì.

Correva col suo cavallo, e forse perseguitato dal rimorso, sentiva una voce che lo assillava implacabile, martellante «Non toccare il mio bambino! ... Non toccare il mio bambino! ...».

Gli anziani del paese raccontano che ancora oggi, sulla strada di Sa Piscina Manna, al tramonto o prima che spunti il sole, tra il fruscio del vento nelle canne, si possa udire una voce melodiosa che incanta il cuore del viandante che si dovesse trovare a percorrere quella strada, scandita dal rumore dei panni battuti sulla pietra. Ma come ci si avvicina, il vento smette di soffiare e cala un silenzio inquietante rotto solo un improvviso urlo felino: «Non toccare il mio bambino!», mentre un brivido corre lungo la schiena del viandante.

 

La leggenda di Cicitu e della pioggia di sassi [torna al menù]

Dal portale della chiesa di San Leonardo, a Serramanna, usciva una bara, accompagnata da un mesto corteo di donne vestite di nero e da un codazzo di amiconi del defunto. Muratori, manovali, impresari erano gli amici e i compagni di Cicitu.

Mentre il corteo si avviava al cimitero, accompagnato dai cupi rintocchi delle campane a morto, dal rosario delle donne pie e dai miserere dell’officiante, nella piazza centrale, una pioggia di sassi, investì tutti, all’improvviso, generando un fuggi fuggi generale.

Il corteo sbandò un attimo, poi doverosamente si ricompose.

Tutti si guardavano intorno, e qualcuno alzò lo sguardo sui tetti, giacché la sassaiola pareva provenisse dall’alto, e sicuramente era un bel gruppetto a lanciarli, perché i sassi erano davvero tanti.

Qualcuno cominciò a ricordare che, la buonanima, di Cicitu era un ottimo lanciatore di sassi, e qualcun altro notava invece che la sassaiola benché fitta non aveva colpito nessuno.

Si cominciò a mormorare che fosse un modo seppur bizzarro del defunto di salutare spiritosamente, così come avrebbe fatto in vita, gli amici.

Qualcuno dei più anziani, tornando indietro con la memoria, raccontava che circa nel 1915 o ’18, mentre lavoravano assieme a Cicitu, sul tetto di una casa che si affacciava in “Sa Prazza” (l’attuale Piazza Martiri d’Italia) accadde un fatto assai singolare; era periodo di vendemmia e, sia i comitati per le feste paesane che i frati cappuccini giravano per le case dei vignaioli, i primi con i carri e le botti e i secondi con i bariletti nelle sacche della bisaccia per la raccolta del mosto.

Un fraticello arrancava, vecchio e stanco, lungo la Via Roma, con la bisaccia sulle spalle e il capo chino, poggiandosi al suo bastone; fu allora che avendolo visto Cicitu, dall’alto del tetto su cui stava lavorando, che per non venir meno alla sua fama di gran briccone e volendo dimostrare quanto fosse contro preti e simili, tirò un sasso al povero frate e incitò gli altri muratori a fare altrettanto, urlando «riempiamo la bisaccia di sassi a quello scroccone!». Il vecchi fraticello, allora, sollevò il capo, e agitando il suo bastone, borbottò «forse tirerai sassi anche da morto!».

Nessuno può giurare che questo fatto avvenne per davvero, ma in paese fino ad una sessantina di anni fa, la mattina, negli orari in cui usano lavorare i muratori era impossibile circolare nella zona della Piazza Martiri per via delle fitte sassaiole.

Strepitii, imprecazioni, fracasso di tegole rotte e imprecazioni tipiche di gente avvinazzata seminavano il panico tra coloro che si trovavano per sbaglio a transitare da quelle parti.

La cosa strana è che questi fatti accadevano la mattina e non la notte come di solito accadono queste cose, ma ancor più strano è che quando si spargeva la voce e la gente accorreva numerosa per assistere al fenomeno… nulla la quiete più assoluta e quasi irreale, mentre Cicitu da lassù, sicuramente se la rideva di gusto.

 

La reliquia di San Sisinnio, contesa tra Serramanna e Villacidro [torna al menù]

La tradizione orientale presenta San Sisinnio, in generale, come vincitore del diavolo tentatore e protettore della madre e del bambino dopo il parto.

Secondo la tradizione sarda Sisinnio di Leni, villaggio nelle vicinanze di Villacidro distrutto dai musulmani, nacque nel 123 d. C. così come si evince dall'epigrafe ritrovata, il 17 luglio 1615, nel santuario ipogeo di San Lucifero a Cagliari, da cui si può dedurre, che Sisinnio morì il decimo giorno delle calende di maggio nel terzo anno di indizione cioè il 22 aprile del 185 d.C. regnante l'imperatore Commodo; Le reliquie del santo sono, a tutt'oggi, custodite nel Duomo di Cagliari, tranne una costola, contenuta in una teca d'argento e accompagnata da atto notarile, donata agli abitanti di Villacidro e conservata nella Chiesa parrocchiale di Santa Barbara.

A Villacidro, a ricordo delle missioni, vi è una croce in legno, chiamata comunemente “Sa grux’’e Santu Sisinni”, dove pare avvenne una furibonda rissa tra villacidresi e serramannesi per il possesso della reliquia del Santo martire.

Quando venne ritrovato il corpo di Sisinnio, con le ferite ancora visibili ed il sangue ancora rappreso attorno, "...sus Reliquias ensangrentadas...", il Canonico Francesco Martis, vicario generale del Monsignor D'Esquivel, consegnò al Canonico Melchiorre Pirella, prebendato di Serramanna con annesse Villacidro e Nuraminis, un frammento di costola del Santo Martire in una teca d'argento. A quella data, 1615, com'è indicato nell'iscrizione della teca:

S. Sisinnius martir qui vixit annis 62. Quievit in pace anno 185. Inventum fuit 15 julii 1615 in eccl. S.ti Luxorii sotterranea prope D. Saturninum et haec reliquiam data fuit a Rev. Vicario Martis instante Canonico Melchiorre Pirella, Ecclesia S.ti Sisinnii, quae in oppido Villakirdos antiquissima”, la chiesetta del Santo era già considerata " antiquissima ".

Forse risale allo stesso periodo in cui fu ricostruita vicino a Serramanna la chiesetta di Santa Maria di Leni.

Il dono era ovviamente destinato alla chiesa del Santo, ma trattandosi di una chiesetta campestre nel territorio del canonicato di Serramanna, nella parrocchia di questo paese la preziosa reliquia venne custodita. E dalla parrocchia di Serramanna partiva ogni anno, in processione, per dare inizio alla festa d'agosto, che forse ricorda la data della donazione, giacché il martirio del santo avvenne negli ultimi giorni d'aprile.

I villacidresi avevano sempre mal sopportato il fatto che la reliquia del loro santo compaesano fosse custodita in un altro paese. Per questo le due comunità di fedeli, per modo di dire, villacidresi e serramannesi durante i giorni della festa non si vedevano molto di buon occhio.
Ma siccome così era stato stabilito dalle Autorità, i primi, facendo buon viso a cattivo gioco, si limitavano a mugugnare in sordina, adattandosi, in sostanza, alla situazione, anche se non gradita. Quando, nel 1767, Villacidro passò dalla diocesi di Cagliari a quella di Ales, in sostituzione di Villamar, che da Ales era passata a Cagliari, i sordi brontolìi sfociarono in aperta ribellione. Serramanna e Villacidro venivano a trovarsi su campi separati: in diocesi diverse, affermavano i villacidresi.  Non c'era più motivo perché i serramannesi continuassero a gestire la festa più prestigiosa del loro paese. Lettere di protesta piovvero alle due diocesi, ma ormai il rito del pellegrinaggio del Santo era già antico di 150 anni: era già diventato tradizione e nessuno più volle assumersi la responsabilità di modificarlo. Un gruppo di baldi ed aitanti guerrieri a cavallo ed armati di tutto punto, si appostarono, dietro alcune siepi di mirto ed attesero l'arrivo della processione da Serramanna.

Quando questa apparve sbucarono, truci e minacciosi, intimando l'immediata consegna della reliquia.  Al rifiuto del sacerdote, circondato dalla cavalleria serramannese, spade, daghe e coltellacci scintillarono subito al sole. I serramannesi, anche se colti alla sprovvista, tentarono di reagire, ma quando videro uno di loro cadere colpito a morte, tutto il loro eroismo svanì di colpo e si diedero a una precipitosa fuga. Il povero prete officiante non poté far altro, suo malgrado, che consegnare la preziosa teca e tornare a Serramanna.

Pare che l'anno successivo i serramannesi avessero preso anche le contromisure in un tentativo di riconquista, ma inutilmente.

Una seconda batosta tolse definitivamente loro ogni residua velleità di rivalsa.

Nacque allora la tradizione della scorta armata del Santo. Una scorta che ormai, a distanza di secoli, ha un sapore esclusivamente folcloristico, giacché i serramannesi d'oggi non sembrano molto propensi ad organizzare imboscate per rubare reliquie dei santi.

E, come scriveva Luigi Muscas, «se vanno a rubare a Villacidro, è molto più probabile che si attardino nei frutteti».

 

Serramanna e le streghe [torna al menù]

Gino Bottiglioni in “Leggende e tradizioni di Sardegna” raccolse molte leggende tradizionali sarde, e circa il rapporto della popolazione con i santi e le divinità in genere, scriveva: «i sardi sono profondamente religiosi, anzi la fede grande ch’essi hanno nella divinità spesso rasenta la superstizione, sicchè è naturale che in mezzo a loro fioriscano in gran copia le leggende dei santi, di Cristo, della Vergine, etc.».

Pare che anche a Serramanna, il fenomeno delle streghe fosse vissuto con timore; nel racconto che il Bottiglioni rilevò a Villacidro”is cogas ‘e Santu Isinni”, infatti, dopo aver descritto “is cogas” «…nel tempo antico c’erano in Villacidro le streghe che erano donne brutte che portavano le unghie lunghe ed erano coperte di cenci e succhiavano il sangue dei bambini», racconta, che San Sisinnio, dopo esser stato pregato da una donna, catturò una strega e la legò ai piedi del letto; poi, via via, ne furono viste tante altre, legate tutte assieme volar via, così che furono catturate e gettate nel fuoco.

Continua il Bottiglioni, «da allora le streghe non si sono più viste a Villacidro e da allora San Sisinnio fu detto “il santo delle streghe”».

Il racconto continua, chiamando in causa appunto gli abitanti di Serramanna, «i serramannesi volevano il santo per cacciare le streghe da Serramanna e una volta erano andati a rubare la reliquia, ma quando erano accanto al fiume Narti, accanto alla chiesetta, la reliquia del santo era diventata grave grave e non aveva potuto passare il fiume. Allora i serramannesi avevano portato la reliquia nella loro chiesa, ma adesso pure i serramannesi sono nemici dei villacidresi».

Nella chiesa di San Sisinnio che dista da Villacidro circa un quarto d'ora, si può ancora vedere un vecchio quadro in cui è dipinto il Santo circondato dalle streghe legate fra loro e alcune in preda a un vento impetuoso, altre in mezzo al fuoco. I villacidresi sono ancora avvezzi mettere, all'entrata delle loro case, l'immagine del Santo, per scongiurare il pericolo delle streghe.

Il quattro agosto, a Villacidro, si celebra la festa di San Sisinnio; la reliquia del Santo viene portata alla chiesa, in pompa magna; la segue una processione di fedeli e di uomini a cavallo, armati di sciabola.

Giunti al fiume Narti, si fermano ed estraggono le sciabole dal fodero; sarà questo, per certo, il ricordo delle antiche lotte fra i villacidresi e i serramannesi per il possesso della reliquia del Santo.

 

 

«Sa justitia de Serramanna» [torna al menù]

Nel “Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo coll’aggiunta dei proverbi sardi” di Giovanni Spano dell’anno 1852, alla pagina 43 troviamo il proverbio: «Sa justitia de Serramanna» con relativa spiegazione: La giustizia di Serramanna. Cioè severa e terribile, si ha per tradizione che in questo villaggio ne appiccarono in una volta 35.

Alla confluenza tra la Via Roma, Via Serra e la Via Rinascita, dove attualmente c’è la parte di Piazza Matteotti con la fontana, un tempo era chiamato Parco delle Rimembranze; era un piccolo appezzamento di terreno di forma triangolare, alberato, che ospitava un eucalipto per ogni serramannese caduto nella prima guerra mondiale.

Sessantuno alberi erano stati piantati dagli scolari per la festa degli alberi, ognuno dei quali testimoniava ai vivi il sacrificio di un compaesano morto per la patria. Ad onor del vero, gli alberi erano solo sessanta perché uno, nonostante i ripetuti tentativi, non si riuscì mai a farlo attecchire, pare il punto fosse proprio quello in cui si ergeva il palo del patibolo.

Leggenda e proverbi a parte, la verità è che fino a circa la metà del secolo scorso, nel 1890 è stata abolita in Italia la pena di morte, venivano eseguite qui le pene capitali; ed i criminali, fossero serramannesi o dei paesi vicini, saldavano qui i loro conti con la giustizia.

Il 27 luglio 1854, in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II Re di Sardegna, la Corte d'Appello di Cagliari, ha emanato quella che si ritiene sia stata l'ultima condanna a morte eseguita a Serramanna.

Sentenza emessa nella causa contro BF, servo di anni 36, FF falegname di anni 23 e MS fabbro ferraio di anni 31, tutti domiciliati in Serramanna, accusati di grassazione accompagnata da omicidio, con depredazione di denari ed altri effetti, ai danni della vedova Gioacchina Cireddu nata Pillitu, in Serramanna, nella casa d'abitazione della vittima.

Dalla lettura degli atti e dalla "perizia del cadavere" risultò che la vedova "donna possidente economa e denarosa sia stata uccisa a maleficio per grassarla e derubarla del denaro che possedeva" come dimostrarono "lo sconvolgimento della roba ed il secchio di rovere trovato con sei pezzi di carta che servirono per involgere delle monete buttati per terra ed il grano del solaio sconvolto, ove si hanno delle tracce che tenesse nascosto del denaro che non vi si trovò". Dalle indagini risultò che sin dal carnevale precedente l'omicidio BF e MS "ed altri due individui combinavano di grassare la Cireddu e toglierle i denari che possedeva, massimo quelli del granaio indicati dallo stesso BF. Nell'imbrunire del 1°maggio 1854, sera del reato, essendo assenti gli altri due conservi, mandati per dormire in campagna alla custodia del bestiame, fu inviato lo stesso BF dalla padrona ved. Cireddu per avvisare il fabbro falegname a ricondurre in casa gli asini che trovavansi al chiuso dell'aia".

Appena sortito da casa BF "fu trovato da un incognito il quale incaricò di entrare in casa e di aspettarlo fino al suo ritorno, come questo fece, introducendosi nel portone: che nonostante sia stato slegato il cane, e chiuso il portone, e risulti che tale bestia non potea sortire se non aprendo la porta, al momento della grassazione il cane trovasi fuori casa, motivo per cui bisognerebbe dire che il cane sia stato mandato via da persona della stessa casa prima di commettere il reato. Il BF fu trovato "legato a mani e piedi con piccole cordicelle di canapa" come anche la padrona "ed indi attorcigliati ambidue con una fune molto più lunga". Sopra il cadavere della vittima, ma non sul BF, venne posto un materasso piegato in due.

"I legami del BF erano molto leggeri e fatti in modo da non recargli non solo del danno, ma neanche dolore", "la gran fune era inutile dopo che erano stati legati separatamente onde e bisogna dire, che siano stati ambedue in tal modo con questa fune uniti unicamente per fare credere che esso BF non fosse per niente conscio del reato". Risulta poi che poco tempo dopo la grassazione il BF venne derubato di denari, pare oltre cento scudi, che teneva in casa della madre. Avutasi notizia di questo furto venne perquisita la casa della madre e vi si trovò sotto il letto un cassone sfasciato e, dentro una pentola, la somma di lire nuove 77 e centesimi 92 che il BF voleva nascondere. Tra le monete si trovò "uno scudo di Francia detto di tre gigli, già da dieci anni e più fuori corso in Sardegna e che non potea di conseguenza essere posseduto da persone che avevano bisogno di mettere giornalmente in circolazione i pochi soldi che avevano".

Il BF, dopo essere stato derubato negò in un primo tempo di avere conosciuto i ladri, ma disse poi di avere riconosciuto MS, FF ed un altro ormai defunto, per poi affermare nel dibattimento di averli semplicemente rassomigliati, questo "per debilitare i forti sospetti che contro di lui potevano nascere rendendosi pubblico d'aver sofferto un furto di denaro così vistoso".

Per quanto riguarda FF "oltre la sua unione ed intima amicizia col MS prima e dopo questo reato, oltre le orme di scarpe signorili, di cui secondo il detto di qualche testimone solea in quel tempo far uso" risultò che "nell'inverno precedente avea bisogno e si fece realmente pochi denari per campare la vita" ma "pochi giorni dopo successo il reato venne a Cagliari ove acquistò gran quantità di legname" e "nonostante queste spese già fatte" a detta di testimoni "teneva entro un cassone una somma di scudi da cinque franchi non inferiore a cento, e tutto ciò senza che siasi potuto sapere né immaginare altra provenienza in lui di questi denari, salvo questa grassazione". Per fare deviare queste prove FF "cercò di stabilire un alibi avendo a tale oggetto parlato vari testimoni i quali deposero... di non averlo visto in quella notte".

Per quanto riguardo MS "la Corte ritenne la propalazione del BF ed i concerti presi per eseguire questo reato in casa dell' OA e l'unione in casa del FF e dello stesso MS col quale sortirono assieme la notte stessa del reato avviandosi verso la casa Cireddu e di essere stati in casa del FF la mattina immediata fin dalle cinque ed infine il sensibile miglioramento di fortuna e gli acquisti di ferro in notabile quantità fatti in Cagliari, pochi giorni dopo il reato".

"A tutto ciò si aggiunga le loro qualità personali ed il contegno da rei massimo nell'escludere i testimoni che più gli gravavano, ai quali nulla seppero opporre di rilevante in questa udienza. Che tutti in seno alla Corte contribuirono all'esecuzione del reato, il BF come complice gli altri come autori". Convinta la Corte che senza la complicità del BF non si sarebbe potuto commettere il reato, si arrivò alla condanna di BF, FF e MS "alla pena di morte da eseguirsi nel luogo del reato, colla perdita dei diritti civili, indennità verso gli eredi della grassata e nelle spese, mandando restituirsi ai medesimi i denari sequestrati e stamparsi, pubblicare ed affiggersi la presente nei modi e luoghi soliti".

Con sentenza del 29 settembre 1854, la stessa Corte rigettava il ricorso dei condannati rendendo esecutiva la pena capitale "condanna i predetti…. alla pena di morte da eseguirsi nel luogo del reato, colla perdita dei diritti civili, indennità verso gli eredi della grassata e nelle spese, mandando restituirsi ai medesimi i denari sequestrati e stamparsi, pubblicare ed affiggersi la presente nei modi e luoghi soliti", pare però che l’esecuzione venne eseguita nella casa degli stessi condannati, dato che si stava già abbandonando l'esecuzione esibita in pubblico.
L’ombra della morte tuttavia per molto tempo ha sovrastato questo luogo e le vecchiette passando facevano il segno della Croce, fino agli anni ’60, quando tagliati gli alberi e asfaltate le strade quel luogo fece spazio ad un distributore di benzina.

 

Anni '40

Anni '60

Anni '70

Anni '80

 

 

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