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Monumento ai caduti | il Cimitero | Funtana Pubblica |
| La Cantina | Aeroporto "Trunconi" |

 

Il Monumento ai Caduti

Il “Monumento ai caduti”, inaugurato nel 1922 per commemorare i soldati di Serramanna caduti nella 1° Guerra Mondiale del 1915-18, è una colonna dorica di calcare dolomitico di Gonnesa, opera di Giuseppe Maria Sartorio.

 

 

È molto probabile che la maggior parte dei serramannesi, non sapesse di chi fosse l’opera, ma ancor più probabile è che neppure sentendone il nome si rendano conto del suo pregevole fascino e valore artistico; ovviamente la colpa non è loro, ma forse di chi sapeva, o perlomeno avrebbe dovuto sapere e di conseguenza valorizzarla, data la sua notevole importanza artistica.

 

Monumento ai caduti 1915/18 (anno 2010)

Lo scultore Giuseppe Maria Sartorio, nacque nel 1854 a Boccioleto Valsesia (Vercelli), da una famiglia benestante; soprattutto da parte della madre, discendente di una famiglia di ricchi commercianti in pietre preziose e sete già nel 1600, mentre il padre Mattia era un grosso possidente terriero, produttore e commerciante vitivinicolo di successo.

Frequentò la scuola di intaglio di Varallo (VC) sotto la guida dello scultore Giuseppe Antonini, e proseguì gli studi presso l’Accademia Albertina di Torino avendo come maestro Odoardo Tabacchi.

Si trasferì poi a Roma per frequentare l’Accademia di San Luca, dove si aggiudicò il primo degli undici concorsi vinti, consistente nell’esecuzione di una importante edicola funeraria per la famiglia Onnis-Devoto nel Cimitero di Bonaria a Cagliari.

 Nel 1897 acquistò 2.000 mq. di terreno in via Tiburtina a Roma e vi costruì un elegante palazzina dove allestì lo studio nel piano terreno, destinando il piano superiore a dimora della sua famiglia.

La casa ha una curiosità, una finestra alla quale sono affacciati i componenti  di una famiglia, padre madre ed una figlia, e il padre è raffigurato con la berritta sarda. Nel 1884, appena trentenne, ma già conosciuto in Piemonte, venne incaricato di eseguire il monumento a Quintino Sella ad Iglesias.

In seguito alla notorietà conseguita in terra sarda, per far fronte alla numerose richieste, soprattutto di monumenti funebri, aprì due laboratori, uno a Cagliari in Viale Bonaria ed uno a Sassari in Corso Regina Margherita di Savoia, con numerosi allievi al seguito.

Non si limitò alla realizzazione dei soli monumenti funerari, ma anche opere per le chiese, come le statue dei Santi Pietro e Paolo a Cuglieri, il monumento ai Caduti per l’Indipendenza italiana a Cagliari, quello a Vittorio Emanuele II in piazza Italia a Sassari, le tre grandi sculture di benefattori locali nella chiesa parrocchiale di Ittireddu, ed altri innumerevoli sparsi per tutta la Sardegna.

Tragica e misteriosa fu la sua morte, avvenuta nella notte fra il 19 ed il 20 settembre 1922 durante la traversata sul piroscafo “Tocra” da Olbia a Civitavecchia.

Non fu mai trovato il suo cadavere, e non si è mai saputo se si sia trattato di suicidio o omicidio a scopo di rapina o di caduta accidentale in mare.

Ben 65 monumenti nel Cimitero di Iglesias portano la firma di Giuseppe Sartorio, ed almeno altri cinque, anche se non firmati, sono attribuibili alla sua bottega.

A Cagliari, presso il Cimitero Monumentale di Bonaria son numerose le sue opere, che da sole hanno contribuito a renderlo celebre in tutta Italia; ricordiamo tra le più belle la tomba di Francesca Warzee, la capella della famiglia Onnis-Devoto, la tomba dell’Avv. Giuseppe Todde, di Maria Ugo Ortu, il monumento al banchiere parigino Camille Victor Fevrier, la cappella Birocchi-Berola, la cappella Nurchis che ospita il monumento dedicato a Jenny Nurchis, la lapide di Giulia Zucca Licheni, quella dei coniugi Giorgio ed Efisia Brinetti, dei coniugi Gaetano e Anna Maria Medda Gianoglio, la lapide di Ettore Vassallo, senza scordare la Cappella della famiglia Chapelle, etc. Inoltre, all'interno del palazzo Regio di Cagliari, è collocato, presso la sala del Consiglio Provinciale il busto marmoreo di Umberto I scolpito intorno al 1886.

 

 

Il Cimitero [torna al menù]

Fino alla metà del 1800, il cimitero a Serramanna, era situato in uno spazio ricavato a fianco della Chiesa parrocchiale di San Leonardo, accessibile attraverso un cancello chiuso a chiave, in cui vi era anche la piccola chiesetta delle “Anime del Purgatorio), sede, allora, dell’omonima confraternita, demolita poi nel 1925.

La Chiesetta delle Anime che si affacciava sulla Via Roma

Nonostante il Consiglio Superiore della Sanità, con nota del 18 marzo 1850, proibisse la sepoltura all’interno dei centri abitati, dettando anche le norme per la realizzazione di nuovi cimiteri, che dovevano essere ubicati ad almeno 400 metri dal centro abitato, su terreno arenoso e argilloso ed esposto ai venti di libeccio, levante e ponente e recintato con muri alti 1,50 metri, a Serramanna si continuò a seppellire i morti attiguo la Chiesa parrocchiale ancora per alcuni anni.

È vero che già il 5 aprile del 1850, quindi un mese dopo la direttiva, il Consiglio comunale, individuò un area idonea alla realizzazione del nuovo cimitero, in località “Sa Roja”, proprietà dei frati domenicani, senza nessun seguito giacché non vi erano fondi per la sua effettiva realizzazione.

Solo nel 1855 il Comune diede mandato al maestro Antonio Cannas di Cagliari affinché acquistasse i primi cantoni di pietra bianca per la costruzione degli archi.

In località “Sa Roja” i lavori per la costruzione del cimitero iniziarono alcuni anni dopo l’acquisizione dei terreni, avvenuta nel 1859, e l’opera fu eseguita dall’impresa di Quartu Sant’Elena di Francesco Saddi, con progettista e direttore dei lavori l’Ing. Enrico Pani, il tutto per un importo di Lire 18.000.

I lavori proseguirono a rilento e a fasi alterne per la solita mancanza di fondi, e furono completati solo nel 1898.

Di notevole interesse è la cappella, posta proprio all’ingresso del cimitero, opera dell’Architetto cagliaritano, Gaetano Cima, considerato uno dei più grandi architetti della Sardegna; le sue opere, in stile neoclassico, sono presenti in ogni parte dell'Isola, e infatti il prospetto della cappella cimiteriale di Serramanna è pressoché simile alla facciata delle più famose Chiesa di Nostra Signora di Monserrato a Burcei, Chiesa di Santa Maria Assunta, parrocchiale di Guasila, Chiesa di San Francesco a Oristano e della Cattedrale dell'Immacolata a Ozieri, per quanto riguarda l’architettura religiosa.

Come in tutte le sue realizzazioni è evidente il riferimento al Pantheon di Roma, che fu l’esempio di tutti i templi del periodo neoclassico in Europa; ma il Cima tiene presenti anche gli insegnamenti del Palladio, quando nel suo “I quattro libri dell’architettura” del 1570, dice che «il tempio dedicato a Dio deve avere la forma circolare per dare il senso dell’unità, della maestà e della perfezione».

Riguardo l’architettura civile, l’opera più importante del Cima è senz’altro l’Ospedale San Giovanni di Dio a Cagliari, edificato tra gli anni '40 e '50 del XIX secolo, e a suo tempo modernissimo.

Il cimitero (anno 2011)

 

Sa Funtana Pubblica [torna al menù]

Il perfetto esploratore di sorgenti arriva la mattina presto con qualche tanica, si avvicina alla fonte, si accerta che la qualità dell’acqua sia la stessa a cui è abituato da sempre e solo allora attacca la pompa al rubinetto; semplici gesti e in pochi minuti il self service della minerale è presto compiuto.

Pare che il 68,7% dei sardi (fonte ISTAT), non beva l’acqua del rubinetto, e allora viva la provvista fai da te, l’approvvigionamento diretto dalle sorgenti, anziché l’acquisto al supermarket.

Antica la storia di “sa funtana pubblica” di Serramanna.

Prima che Serramanna, nel secondo dopoguerra, venisse dotata di una rete idrica, venivano tutti qua a prendere l'acqua, alla Fontana Pubblica ("Sa Funtana Pubblica" per i serramannesi), che è situata a circa un chilometro di distanza dal paese; pare sia un pozzo di origine cartaginese.

Agli inizi degli anni ’50, c'era un grosso tubo che fuoriusciva dalla casetta costruita a protezione del pozzo, e dopo aver pagato la quota al custode, si girava la ruota che metteva in funzione la pompa. In quei tempi, questa strada era un via vai di gente che con il carretto e la botte veniva a prendere l'acqua. Nacque così, la figura degli «acquaderis».

L’acquaiolo, «s'acquaderi», era una persona che col carretto tirato da un asino, sul quale c'era «sa fascella» o «sa carrada», che conteneva dai 300 ai 400 litri, talvolta avvolti con l’erba per mantenerla fresca, specie durante la stagione calda e col permesso dell’Autorità  Comunale portava l’acqua potabile dalla fontana pubblica fino in paese per venderla lungo la strada, dove venivano riempite le brocche grazie a un tubicino («sa cannada»).

Chi non voleva comprarla andava al Fiume Leni, soprattutto le donne, e prendevano l’acqua, che poi portavano sul capo dentro una brocca; per evitare che la brocca facesse male, mettevano in testa «su tibidi», un panno arrotolato e chiuso a forma di cerchio che attutiva l’attrito e consentiva di tenere meglio in equilibrio la brocca piena d’acqua. L’acqua da bere si andava a prendere sempre al Leni, perché  le sue acque sono leggere mentre le acque del Fiume Mannu erano molto più calcaree e non erano usate per bere.

La fonte preferita nel circondario è sempre stata a Villasor a “Su Pardu ’e is frisias” (presso il centro di Tiro al piattello), forse grazie all’area verde circostante, ma negli ultimi anni anche “sa funtana pubblica” di Serramanna sta riscuotendo sempre più consensi tanto che forse l’Amministrazione, potrebbe e dovrebbe, non solo abbellire la zona circostante ma anche regolamentarla e magari potenziarla; talvolta si deve aspettare un intera giornata per riempire una tanica, e spesso si assiste a battibecchi tra “i padroni” di Serramanna e “i forestieri” dei paesi limitrofi che “vengono a rubare l’acqua”.

 

La Cantina [torna al menù]

La Cantina (cartolina anni '60)

Il 2 settembre 1954, 23 proprietari di vigneti costituirono davanti al Notaio Giovanni Battista Lonis la Società Cooperativa a.r.l. del Campidano di Serramanna, che si proponeva di “costruire e gestire magazzini ed impianti per la raccolta e trasformazione dell’uva conferita dai soci e di produrre vini di tipo costante”.

Nel 1958 la società, che contava oltre 300 soci, dava inizio alla sua attività con la lavorazione di 18.800 quintali d’uva (pagata ai produttori 200 lire al q.le/grado, cioè circa Lire 3.574 a q.le). Svettava su tutto il complesso la Torre Sernagiotto, inaugurata nel maggio 1960 dal ministro On. Antonio Maxia, già sottosegretario agli Interni nel governo Fanfani e successivamente nominato sottosegretario al Tesoro nel governo Scelba; nel corso degli anni vennero costruiti nuovi lotti di vasche, uffici, dependance per il custode, sale di rappresentanza, locali per la vendita al minuto, scantinato per l'invecchiamento dei vini pregiati in botti di rovere, impianti di imbottigliamento.

Nel 1978, si era arrivati, con un aumento graduale nel corso degli anni, a lavorare 194.000 q.li con un compenso medio ai soci di Lire 18.000 a q.le per le uve meno pregiate.

Si producevano vini da tavola ma anche vini pregiati quali il Malvasia, il Vermentino, il Nasco, il Monica e il Vernaccia; alcuni di questi a marchio DOC.

Arrivò ad essere definita la Cantina più grande d’Europa, ma alla fine degli anni ottanta, carica di debiti e impossibilitata a pagare ai soci il compenso per le uve conferite, dovette interrompere la sua attività e chiudere lo stabilimento.

Nel 1994 la Regione Sardegna si è presa lo stabilimento accollandosi tutti i debiti, compresi i saldi ai soci per l'uva dei  conferimenti degli ultimi anni.

Lo stabilimento successivamente è stato in parte utilizzato soprattutto per l’ammasso del grano nei grandi silos metallici che venivano ceduti in affitto a dei privati.

Il 13 novembre 2004, con l’inviato Cristian Cocco, è stata anche al centro della puntata di Striscia la Notizia nella sezione “sprechi & incompiute”.

La situazione di grave degrado in cui versa l’intera area imporrebbe un intervento immediato, specie perché gli immobili e gli impianti che residuano sono sottoposti a procedura esecutiva presso l’Autorità Giudiziaria Ordinaria.

La Cantina (anno 2011)

I Vini che produceva:

 

L’Aeroporto militare di “Trunconi” [torna al menù]

Pochi mesi prima dell'inizio della seconda guerra mondiale, in Sardegna, vennero allestiti alcuni campi di aviazione detti "campi di manovra", e tra questi i più importanti erano Trunconi (Serramanna-Villacidro) e Decimomannu. L'aeroporto militare di Trunconi, che ricadeva per la maggior parte in territorio di Serramanna, era conosciuto dai serramannesi, semplicemente come "il campo di Villacidro"o "su campu 'e Pranu".

Aeroporto di Trunconi (1940)

Occupava un area pianeggiante di circa 2 km2 ma era circondato di grandi estensioni laterali, utili per il parcheggio degli aerei, che in seguito furono dotate di muri paraschegge che sarebbero dovuti servire a proteggere gli aerei dalle bombe a frammentazione.

La sua estensione andava da Villacidro a Pimpisu, alla fattoria Del Re a Serramanna, fino a “S'Acqua Cotta” a Villasor. Era senz'altro il più vasto campo di aviazione in Sardegna durante la II guerra mondiale.

Il 3 giugno 1940 arrivarono i primi Reparti di volo tedeschi (8° Stormo BT inquadrati nella 10ª Brigata Aerea “Marte”). Gli ufficiali furono sistemati provvisoriamente a Villacidro in abitazioni private e fu subito requisita l'azienda agraria di Pimpisu, dove furono allestiti gli alloggi e la mensa Ufficiali, e nelle case coloniche adiacenti, gli alloggi e la mensa Sottufficiali. Presso la Fattoria Del Re, trovarono sistemazione gli uffici del Comando, gli ufficio amministrativi e l'autoreparto.

 

Maggio 1942 - Aeroporto Trunconi

Mussolini passa in rassegna i reparti tedeschi (Fototeca CMSC)

 

Per le truppe furono costruite delle baracche o piantate delle tende.

Una scuderia della Fattoria Del Re venne trasformata in cucina per la truppa.

Come scopriranno, in seguito, anche gli americani, tutta la zona era chiaramente malarica perché le pozze d'acqua che si formavano nelle adiacenze del rio Leni e soprattutto a causa degli acquitrini semicaldi in zona “S'Acqua Cotta” costituivano l'habitat ideale per la proliferazione della zanzara anofele.

Per questo motivo le pozze d'acqua venivano periodicamente cosparse d'olio bruciato e agli uomini veniva somministrato il chinino due volte la settimana. Gli alloggi degli Ufficiali furono dotati di zanzariere e giornalmente venivano bonificati con nebulizzazioni di liquido insetticida.

Dopo l' 8 settembre 1943, i tedeschi abbandonarono il campo per raggiungere la Corsica e prima di andarsene distrussero  le attrezzature militari,  lasciano ingenti depositi di cibo e di vestiario.

Anche da Serramanna tante persone si recarono  al campo con i carri per fare razzia di quanto ancora vi si trovava.

Il 10 novembre del 1943 arrivarono gli americani (320° Bomb Group), che fecero di “Trunconi” la base di partenza per le loro incursioni sul continente italiano.

Procedettero alla riparazione della pista, sconvolta dalle loro stesse bombe e vi rimasero fino all’ottobre del 1944.

 

Equipaggio Marauder 320° Bomb Group (Villacidro 1944)

 

A guerra finita, l’aeroporto fu smantellato e, di quella che era stata un importante base militare, sono ormai rimasti solo alcuni ruderi che hanno resistito all'incuria e al vandalismo; unica testimonianza rimasta, di quei tragici avvenimenti, che ogni guerra comporta, dimenticati e forse da molti anche sconosciuti.

Muretti paraschegge visibili ancora oggi

 

 

 

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